Fino a qui il corso della storia così come ci è stato tramandato dai cronisti fiorentini dell’epoca. Ma è lecito domandarsi quali fossero le vere intenzioni e la strategia degli aretini.
Analizziamo le differenze fra i due schieramenti.
La cavalleria fiorentina
L’esercito fiorentino aveva senza dubbio molti vantaggi. Innanzi tutto aveva un numero di cavalieri doppio. A questo reparto era affidata l’offensiva e grazie alla forza di impatto che produceva costituiva l’elemento risolutivo delle battaglie. Avere dunque un numero di cavalieri così superiore costituiva un vantaggio enorme nell’attacco. I fiorentini si potevano permettere una prima linea di cavalleria (i così detti feditori) costituita da 150 uomini e una seconda linea posta appena dietro di più di 1000 uomini. Tuttavia non era l’arma migliore dell’esercito fiorentino.
La fanteria fiorentina
In secondo luogo aveva un numero di fanti, stando alle informazioni di Giovanni Villani, di 2000 unità superiore rispetto a quello Aretino. La fanteria era il reparto che garantiva la difesa della cavalleria e nell’impatto dei due eserciti era deputata a reggere l’urto della carica dei cavalli nemici, continuando poi nel corpo a corpo.
La schiera centrale della fanteria fiorentina era costituita da un numero di fanti più o meno simile a quello della fanteria aretina ma in più l’esercito guelfo aveva due ali laterali che avevano un equipaggiamento di gran lunga migliore di quello Aretino. Infatti i due reparti laterali erano costituiti in prima fila da palvesari, soldati dotati di grandi e pesanti scudi poggiati saldamente sul terreno a formare una robusta barriera. Erano questi gli scudi che il Vescovo Guglielmino degli Ubertini scambiò per mura nemiche! Tale barriera consentiva ai balestrieri fiorentini di poter scagliare i propri dardi (le quadrelle) in sicurezza. Per poter neutralizzare i danni derivanti dalle balestre esisteva un unico modo: la carica della cavalleria. Tuttavia a ulteriore protezione dei balestrieri erano posti alle loro spalle altri fanti dotati di lancia lunga o picca. Questa veniva piantata sul terreno e resisteva molto più saldamente alla carica della cavalleria.
Le salmerie fiorentine
Alle spalle dell’esercito I fiorentini ammassarono le salmerie, cioè i carri pieni di vettovaglie, oggetti necessari a costruire l’accampamento e rifornimenti vari. Queste costituirono un muro finale di contenimento che si rivelò molto utile nel fermare il rinculo seguente all’urto della cavalleria aretina.
La reserva fiorentina
La riserva era un reparto tenuto nascosto ad un lato dell’esercito, che in caso di necessità, sfruttando magari l’effetto sorpresa, si inseriva nella mischia attaccando il fianco dell’esercito nemico. Era ovviamente costituito da cavalieri dal momento che l’azione doveva essere rapida e veemente.
Il miglior attacco era quello sferrato al fianco destro dell’esercito nemico, dal momento che i fanti tenevano lo scudo con il braccio sinistro e lottavano con le spade o le lance impugnate con la mano destra. Se dunque l’assalto della riserva avveniva dal lato destro i fanti avrebbero mostrato a questa il fianco scoperto.
Nel campo di battaglia di Campaldino sul lato sinistro degli aretini e destro dei fiorentini scorreva l’Arno. Quindi necessariamente le due reserve si dovettero appostare nel lato opposto, favorevole ai fiorentini per i motivi appena presentati.
La cavalleria aretina
La cavalleria aretina era costituita da sole 800 unità, ma i cavalieri che la costituivano erano molto più avvezzi alla battaglia di quelli fiorentini. L’esperienza non era un fattore di poco conto, tanto che era evidente che questa era l’arma migliore dell’esercito Aretino.
La Fanteria aretina
La fanteria aretina era in numero leggermente inferiore, ma l’aspetto peggiore era la quasi totale assenza di balestrieri.
La riserva aretina
La riserva aretina, guidata da Guido Novello, era di poco inferire a quella fiorentina ma posta per necessità nel lato meno favorevole dal momento che avrebbe attaccato dalla parte in cui i fanti fiorentini portavano gli scudi.
Analisi delle strategie
E’ evidente che i la maggior forza fiorentina era legata alla capacità difensiva del suo esercito. Dalla disamina appena fatta risulta lampante che gli aretini avrebbero dovuto ad ogni costo evitare di combattere davanti all’esercito fiorentino. In questo caso infatti sarebbero caduti sotto il tiro dei dardi guelfi, frontalmente si sarebbero esposti alla controffensiva della folta schiera nemica ed avrebbero esposto il lato destro scoperto all’attacco della riserva guidata da Corso Donati.
D’altro canto la maggior esperienza della cavalleria aretina lasciava maggiori chances di successo all’attacco aretino. Rimanevano così due sole alternative all’esercito ghibellino: o sfondare centralmente la fitta schiera fiorentina portando lo scontro oltre lo schieramento e lontano dalle ali difensive, o attirare a sé cavalieri e fanti guelfi, ancora una volta lontano dal tiro delle balestre schierate ai lati, avvalendosi poi dell’intervento della riserva di Guido Novello posta dietro il convento di Certomondo. E’ certo che lo schieramento dell’esercito fiorentino lascia pochi dubbi sulle intenzioni dell’oste guelfa: la presenza delle salmerie disposte a muro alle spalle dell’esercito, le ali laterali difese da palvesi posti a terra e certamente non facilmente spostabili, lo schieramento dei balestrieri con le armi puntate proprio davanti alla propria cavalleria, dimostrava la volontà dei fiorentini di attendere ben fermi l’attacco degli aretini e l’intenzione di portare l’impatto tra i due eserciti dalla loro parte del campo di battaglia.
Gli esiti della battaglia
Stando alle cronache, si dedurrebbe che i capitani aretini scelsero la prima strategia, anche se l’urto della potente cavalleria, nonostante fosse stato violento, non riuscì ad infrangere il muro contenitivo delle salmerie, rimanendo intrappolati nella mischia.
Tuttavia rimane un dubbio riguardo alla decisione aretina di schierare in primissima fila i 12 migliori cavalieri. Che senso aveva mandare all’assalto un numero di cavalieri così sparuto, e per di più contro un esercito disposto in modo formidabile? Gli studiosi Kelly Devries e Niccolò Capponi hanno interpretato la loro presenza come il tentativo aretino di attirare a sé con un’esca l’oste fiorentina. Secondo la loro ipotesi i 12 cavalieri aretini avrebbero infatti dovuto innescare la partenza della cavalleria fiorentina per poi repentinamente ritirarsi dietro le proprie fila. Se questa teoria rappresentasse la vera intenzione degli aretini vorrebbe dire che questi optarono per una mossa sicuramente ardita e probabilmente disperata: tentarono di ingannare i fiorentini, e quando videro che questi, come d’altronde era immaginabile, non abboccarono al tranello, essendo partiti al galoppo, non poterono fare altro che scagliarsi contro l’esercito guelfo e andare incontro al proprio destino.
Per approfondire:
Nuova Cronica di Giovanni Villani
Cronaca delle cose occorrenti ne’ tempi suoi di Dino Compagni
Campaldino 1289: the battle that made Dante di Kelly Devries e Niccolò Capponi
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