Come è che si andava alla guerra, cominciamo col dire che si andava con abiti civili cioè quelli che si indossavano tutti i giorni quindi niente divise sgargianti prodotte in serie, anche questo è uno di quei trucchi cinematografici che servono al pubblico per avere una immediata percezione di chi è il “buono” e il “cattivo” di turno, esempio molto famoso “Braveheart” dove le truppe inglesi risaltano sul campo indossando le loro sgargianti divise rosse.
Gli scudi
L’ elemento che poteva distinguerti nella mischia era un oggetto quasi mitico, lo scudo, e qui può immaginare schiere serrate di fanti che formano un possente “muro”, spesso dipinti come segno distintivo con i colori della città, del quartiere o della parrocchia nella quale si era reclutati. Famosa è la citazione presa nella cronaca di Dino Compagni riferendosi alla battaglia di Campaldino, dove il vescovo Guglielmo degli Ubertini avrebbe scambiato le linee di bianchi scudi fiorentini per delle mura. Nel corso del ‘200 si possono incontrare vari modelli di scudi sia nelle fonti documentarie che iconografiche, dagli antiquati scudi a mandorla agli scudi ovali o triangolari fino ad arrivare a dei piccoli scudi rotondi di circa 30cm di diametro chiamati brocchiero o broccoliero. Ma tra tutti il modello più diffuso e che ebbe maggior successo, partendo proprio dalla Toscana, erano i “pavesi”. Questo tipo di scudo a forma rettangolare e inarcata poteva variare nelle dimensioni in base all’ uso che se ne faceva, si passa dai grandi scudi alti fino a 180cm e usati come barriera mobile per proteggere i tiratori, a quelli di circa 120cm usati dai fanti insieme ad altre armi. Se ne può osservare alcuni esempi nelle formelle del cenotafio Tarlati ad Arezzo in particolare nella formella “Caprese” e in quella “Castel Focognano”. Gli scudi erano realizzati con assi di legno incollate o inchiodate tra loro ricoperte con stoffa o cuoio per rendere il tutto più resistente, c’era anche la possibilità di applicare strati di polvere di gesso mischiata a colle naturali creando una copertura per aumentare ancora la resistenza, finite queste operazioni si poteva applicare la pittura. Ogni cittadino chiamato alle armi doveva avere tutto un corredo di armamenti in base al censo.
La difesa del busto
Passando in rassegna l’equipaggiamento difensivo, la protezione più in uso per tutti i fanti era un giubbone fatto di molti strati
di semplice stoffa di lino o cotone, oppure imbottito con stoppa o lana grezza che viene comunemente chiamato “Gambesone” o “Zuppa d’arme”, questo tipi di protezioni imbottite potevano essere usate anche per proteggere la testa e le gambe. Per il busto sopra la protezione imbottita erano diffusi vari tipi di corpetti in semplice cuoio o in cuoio con lamiere di ferro. Alternativa erano protezioni in cotta di maglia, una cotta di maglia completa detta “Usbergo” era un tipo di armatura composta da migliaia di anelli di ferro uniti fra loro che creavano una eccellente protezione contro le armi da taglio, come si può immaginare essendo un lavoro fatto interamente a mano arrivava a costare cifre esorbitanti. Usata quindi per ricoprire piccole parti era alla portata di tutti, specialmente quelle zone più deboli o sensibili come il collo e gli arti superiori, diffusissimo il collare cioè un pezzo di maglia di ferro cucita a una striscia di cuoio a protezione della gola.
Gli elmi
Altra parte fondamentale da proteggere era la testa, e qua troviamo elmi in metallo in varie fogge, i due modelli più diffusi erano la semplice “cervelliera” cioè una lamiera di metallo che copriva solo la parte alta del cranio, oppure il “cappello di ferro” che aveva una larga tesa ma lasciava il volto scoperto. Queste protezioni potevano anche essere integrate con altri pezzi di armatura, a seconda della disponibilità economica, con schinieri, spallacci o altre protezione per braccia e mani, in metallo o cuoio bollito.
Le armi
Passando poi agli equipaggiamenti offensivi, anche qui bisogna dire che non c’era omogeneità, strumento principe era la lancia, una delle armi più diffuse. All’ inizio del XII e fino a metà del secolo successivo con una lunghezza media di 2 o 3mt viene poi affiancata dalla lancia lunga con misure tra i 4 e i 6 metri, questo tipo di armamento se usato da grossi contingenti con un minimo di addestramento e coordinazione può rivelarsi decisiva. Insieme a queste tipologie di lancia c’era tutta una serie di armi in asta che hanno avuto grande successo, derivanti da strumenti agricoli sono note come “ronconi” o “ganci ammanicati”, usati per disarcionare i cavalieri. Oltre questa combinazione di scudo e lancia o lancia lunga, si poteva avere al fianco un’arma corta pronta ad ogni evenienza, e anche in questo caso possiamo incontrare un gran numero diverso di armi, a partire dalle spade, che restando l’arma per eccellenza della cavalleria ma si poteva trovare indosso anche alle fanterie, sicuramente di una qualità più scadente rispetto a quella del signore. Ultima arma che non posso non citare è la “basilarda” cioè un coltello a doppio filo con una forma del manico molto particolare, ad H, la troviamo spesso in affreschi, miniature o bassorilievi. Per quanto riguarda un’altra importantissima arma dell’esercito cioè i tiratori l’equipaggiamento era del tutto simile al semplice fante ma sostituendo l’arma principale con una balestra o arco, anche se quest’ultimo fu nel corso del ‘200 quasi completamente sostituito. La balestra ha avuto nel tempo una evoluzione e ne esistevano di svariate dimensioni, per impieghi diversi. Anche se non raggiungevano il valore di un cavallo le balestre non erano economiche, di conseguenza molti comuni ne avevano un certo numero in magazzino insieme a grandi quantità di proiettili. Queste riserve venivano poi distribuite all’occorrenza tra l’esercito, per la loro manutenzione venivano stanziate ingenti somme di denaro. La combinazione di queste armi, pavese, lancia lunga e balestra sviluppatasi in Toscana ha poi raggiunto gran parte dell’Europa facendo diventare la fanteria una micidiale macchina bellica.
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